Le modalità di tassazione dei dividendi e degli altri proventi derivanti da partecipazioni societarie.
Nell’attuale sistema di tassazione dei redditi, l’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) tassa il reddito complessivo del contribuente, che può derivare dallo svolgimento di un’attività lavorativa (in maniera autonoma o alle dipendenze di qualcuno), dallo svolgimento di un’attività commerciale, oppure magari dalla concessione in affitto di alcuni immobili di proprietà.
Tuttavia, un contribuente potrebbe percepire anche redditi di capitale, ossia redditi derivanti dal possesso di quote societarie. Affrontiamo più nel dettaglio quest’ultimo tema, analizzando nello specifico quali sono i redditi di capitale, quali sono al contrario quei proventi che pensiamo – erroneamente – che rientrino nella categoria dei redditi di capitale, quale sostanziale differenza intercorre tra azione e obbligazione societaria e, infine, se è possibile sottrare da un reddito di capitale eventuali costi di produzione o perdite.
Indice
Le categorie reddituali dell’Irpef
Il presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso di redditi appartenenti ad una delle seguenti categorie reddituali:
- redditi fondiari;
- redditi di impresa;
- redditi di lavoro dipendente;
- redditi di lavoro autonomo;
- redditi di capitale;
- redditi diversi.
Il canone percepito dalla concessione in affitto di un terreno è da considerarsi reddito fondiario.
I redditi di impresa sono i proventi derivanti dall’esercizio di un’attività commerciale da parte di un imprenditore individuale.
I redditi di lavoro dipendente sono quelli che derivano da rapporti aventi ad oggetto la prestazione di lavoro alle dipendenze di altri soggetti.
I redditi di lavoro autonomo sono quelli che derivano dall’esercizio di arti (ad esempio, un musicista) e professione (ad esempio, un ingegnere).
I redditi di capitale sono i proventi derivanti dalla partecipazione in società (ad esempio la percezione dei dividendi da parte del socio di una Srl).
La categoria dei cosiddetti “redditi diversi” è residuale e ricomprende i redditi che non rientrano nelle precedenti categorie.
I redditi di capitale
Non c’è una definizione ben precisa dei redditi di capitale, tuttavia possiamo distinguere due principali gruppi di redditi di capitale: il primo relativo ai proventi derivanti dalla partecipazione in società ed enti (come i dividendi distribuiti dalle società di capitali), il secondo gruppo comprendente gli interessi e altri proventi che derivano da mutui e da altre forme di impiego del capitale.
Dividendi e altri proventi da partecipazioni societarie
Sono redditi di capitale i dividendi e gli altri proventi che derivano dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di una società.
Quindi, assume rilievo il possesso di azioni o di altri titoli, perché rappresentano una frazione del capitale o del patrimonio della società emittente.
Occorre distinguere la posizione degli azionisti da quella titolari di obbligazioni. Le azioni rappresentano una frazione del capitale sociale, conferiscono la qualità di soci e il diritto di partecipare alla distribuzione degli utili.
Le obbligazioni, invece, non rappresentano quote del capitale sociale, ma un diritto di credito; quindi, chi detiene obbligazioni di una società non è un socio, ma è un creditore.
Quali proventi non sono redditi di capitale?
Non rientrano nella categoria dei redditi di capitale:
- le plusvalenze che derivano dalla cessione di azioni o obbligazioni;
- gli interessi non derivanti dall’impiego di capitale.
La plusvalenza è la differenza positiva tra due valori dello stesso bene in due momenti diversi.
Se una società, nel 2020, cede per 1 milione di euro un titolo obbligazionario che aveva acquistato nel 2017 a 600.000,00 euro, ha generato una plusvalenza pari a 400.000,00 euro.
In questo caso, le plusvalenze derivanti dalla cessione di azioni o obbligazioni rientrano nella categoria dei redditi diversi.
Per quanto riguarda gli interessi, sono da ricomprendersi nei redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti, in quanto derivano dall’impiego di capitale.
Non sono redditi di capitale gli interessi che derivano da redditi di altra natura. Ad esempio, gli interessi moratori (previsti dalla legge per il ritardo nell’effettuare un pagamento) che un cliente paga ad un professionista rientrano nei redditi di lavoro autonomo; così come gli interessi percepiti nell’esercizio d’impresa sono redditi d’impresa.
Calcolo dei redditi di capitale
I redditi di capitale sono tassati al lordo e con l’applicazione del principio di cassa.
La tassazione al lordo impedisce di poter sottrarre dal reddito di capitale le spese di produzione e le perdite. Non sono deducibili, ad esempio, le spese bancarie inerenti ad un reddito di capitale, né le perdite che si subiscono perché un titolo obbligazionario viene rivenduto per un importo inferiore a quello di acquisto (minusvalenza).
Invece, secondo il principio di cassa si tassa la somma percepita nel periodo d’imposta, assumendo rilievo il momento finanziariodella effettiva percezione del reddito di capitale, a prescindere da eventuali crediti maturati, ma non ancora percepiti.
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Di Vincenzo Delli Priscoli