Trading e Tasse: La Guida Definitiva per gli Investitori Italiani (2024)

Entriamo subito nel vivo della questione: chi fa trading deve pagare le tasse?

La risposta a questa domanda è sì. Come tutte le attività che consentono di generare reddito, anche il trading in Borsa è soggetto alla tassazione italiana.

Ma esiste una soglia minima e massima da rispettare? E soprattutto, la tassazione può differire a seconda del tipo di asset o della modalità di scambio?

I tecnici di Metaskill forniscono alcune risposte e alcune idee per non appesantire troppo la dichiarazione dei redditi.

Tasse sul trading online: chi deve pagarle?

Le plusvalenze accumulate con le operazioni di trading, di fatto, costituiscono un guadagno.

Come qualsiasi altro genere di incasso, sia esso proveniente da lavoro dipendente o dall’affitto di un’abitazione di proprietà, anche quello proveniente dall’attività di trading online è soggetto a un’imposta specifica.

La tassazione del trading può variare a seconda del livello di investitore e quindi differire in base al possesso della partita IVA.

Lo schema di seguito riporta i principi generali della tassazione del trading, in Italia:

Trading e Tasse: La Guida Definitiva per gli Investitori Italiani (1)

Fonte: https://www.mercati24.com/wp-content/uploads/infographics/tasse_trading.jpg

Il calcolo delle plusvalenze

Il linea generale, la base è sapere calcolare le plusvalenze.

Nella pratica, bisognerà stilare due macrocolonne: la prima relativa ai guadagni realizzati con il trading online e la seconda con le perdite accusate dalle operazioni effettuate in Borsa. A questo punto, è sufficiente fare una sottrazione:

guadagni – perdite = plusvalenza tassabile.

Quando il saldo è positivo (quindi, in definitiva, se hai chiuso l’anno con un guadagno finale realizzato grazie alla tua attività di trading), dovrai versare un’imposta.

Un’altra precisazione va fatta in merito all’importo tassabile: l’imposta sul trading, è bene specificarlo viene applicata al guadagno relativo alla vendita di un asset, sia esso azione, ETF o prodotto derivato.

Rientrano tra i tassabili anche gli importi guadagnati, e quindi le vincite, sottoforma di dividendi.

Il prelievo del denaro dal conto di trading, ovvero il suo trasferimento al conto bancario del trader, al contrario, non fa la differenza.

Quindi, se hai realizzato una plusvalenza nel corso dell’anno ma hai lasciato i soldi sul conto trading dovrai comunque pagare le tasse su quell’utile.

Se, invece, hai già pagato le tasse sulla tua plusvalenza, non dovrai versare altre imposte al momento del prelievo dei proventi e del loro accredito sul tuo conto bancario (o sulla carta di credito).

Quanto si paga di tasse per il trading?

In Italia, le plusvalenze (i ricavi reali provenienti dall’attività di trading) vengono tassate con una flat tax del 26%.

Grazie a questa imposta, la tassazione per i piccoli trader è molto semplice da capire, perché è full inclusive.

All’imposta del 26% si aggiunge uno 0,02% sul saldo di IVAFE (equivalente all’imposta di bollo Italiana).

Non esiste una base minima nè un limite massimo. La tassazione si applica qualsiasi sia l’importo delle plusvalenze.

Non incorrere in sanzioni fa parte delle operazioni che puoi mettere in atto per salvaguardare il tuo capitale e, dunque per non perdere. Seguire un corso di Finanza personale è una risorsa. Iscriviti ai master di Metaskill.

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Cosa succede se si omette di dichiarare il guadagno del trading?

Evitare di dichiarare i proventi del trading non è così semplice come si potrebbe pensare.

Per cominciare a fare trading, soprattutto se parti da zero, devi aprire un conto presso un broker di tua scelta.

Esattamente come avviene per un qualsiasi account bancario, la legge italiana prevede una procedura di identificazione: alcune piattaforme consentono di depositare anche in attesa che sia completata questa procedura, altre no.

In tutti i casi, per poter prelevare dovrai essere identificato.

È lo stesso broker che trasmette, quindi, i tuoi dati all’Agenzia delle Entrate e la mancata compilazione corretta della dichiarazione dei redditi, ovvero l’omissione degli incassi genererebbe, perciò, in pochissimo tempo, l’emissione di una cartella esattoriale.

Avere un conto bancario all’estero non basta

Non basta aprire un conto bancario all’estero per eludere i controlli del Fisco. Ciò che conta, infatti, è la residenza fiscale: se la tua è in Italia, allora dovrai pagare le tasse qui e non basterà trasferire i soldi guadagnati su un conto non italiano.

Tassazione e trading: i dividendi da titoli

Questa prima parte è destinata più specificamente agli investitori che hanno azioni nel loro portafoglio di borsa e che utilizzano questi titoli per generare dividendi.

I dividendi vengono pagati dalle società ai propri azionisti, nella maggior parte dei casi, una volta all’anno (in genere, per le azioni quotate al FTSE Mib40, le società pagano a maggio i dividendi relativi all’esercizio finanziario dell’anno precedente).

In alcuni casi, però, la cedola (altro nome del dividendo) viene staccata ogni tre mesi.

Le somme percepite dall’azionista (ovvero il titolare delle azioni) sono assoggettate ad imposta sui redditi secondo due regole.

Persona fisica

Alle persone fisiche si applica, come si è detto, una flat tax del 26% sui dividendi delle società italiane.

Il discorso si fa, invece, più complicato se la società che distribuisce i dividendi è straniera.

In questo caso, infatti, bisognerà innanzitutto pagare le tasse secondo il Paese in cui ha residenza fiscale la società distributrice e poi sottrare questo importo dal ricavo totale.

Quindi, applicare sulla differenza, una ritenuta di acconto del 26%.

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Il trading online è una delle attività più affascinanti e redditizie del mondo finanziario. Chiunque abbia voglia di investire i propri soldi, senza limitazioni o vincoli, può diventare un trader online seguendo alcuni semplici passi.

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Società e partita Iva

Le aziende, quindi anche i professionisti in possesso di partita IVA, sono assoggettate all’applicazione di una quota IRPEF ordinaria, che si applica sul 58,14% del totale.

Per capire meglio facciamo un esempio: se nel 2022 hai guadagnato 1000 euro di plusvalenze provenienti da dividendi, dovrai pagare le tasse solo sul 58,15%, ovvero su 581,50 euro.

La tassazione è più vantaggiosa se si tratta di una società di capitali: in questo caso, infatti, i dividendi vengono considerati reddito di impresa. Come tali, vengono tassati con un’imposta IRES pari al 24% del 5% del totale.

Per esempio: una società di capitali ha incassato dividendi per 10.000 euro. Il 5% di questo importo è 500 euro. Le tasse da pagare verranno calcolate come segue:

24% (500 €) = 120 €

Nel caso delle partite IVA e delle società, la regola si applica anche se i dividendi distribuiti appartengono a società residenti fiscalmente all’estero.

C’è, tuttavia, un’unica eccezione: le regole sono valide, infatti, purché la residenza estera dell’azienda che distribuisce i dividendi sia in un Paese elencato nella white list.

Se, al contrario, la residenza fiscale della società distributrice è in un Paese della black list, le tasse si applicheranno sul 100% dell’importo e non sul 5%.

Da qualche anno, infine, è possibile optare anche per la detrazione forfetaria dell’Irpef per i redditi da dividendi. Si tratta di una possibilità allettante per coloro che hanno un reddito che rientra nella fascia fiscale marginale del 30 o 40%.

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Imposta sulle plusvalenze

A differenza dei dividendi, le plusvalenze corrispondono ai profitti realizzati sui mercati finanziari dall’azione di acquisto e rivendita di titoli. Questo sistema si applica anche ai profitti delle piattaforme di trading online.

Per calcolare questa plusvalenza annuale, dovrai sommare i tuoi guadagni e le tue perdite per vedere se la tua attività ti ha portato un profitto reale su cui sarai tassato.

In generale, le plusvalenze su valori mobiliari come SICAV, azioni, Warrant e altri prodotti derivati ​​sono tassate all’aliquota del 26%.

Come ridurre le tasse: il PRA

Forse non lo sai, ma esiste una soluzione di investimento in borsa che beneficia di un quadro fiscale vantaggioso: il PRA o Piano di risparmio in azioni.

Questo prodotto bancario, creato nel 1992, è oggi ampiamente offerto dalle banche online e consente di accumulare risparmi investendo in borsa.

Il vantaggio del PRA è che tutte le operazioni di borsa effettuate nel suo ambito sono esenti dall’imposta sulle plusvalenze. Naturalmente, questa esenzione riguarda solo l’imposta sul reddito, ma non gli oneri previdenziali.

Per usufruire di questa tassa eccezionale, dovrai soddisfare alcune condizioni, tra cui:

  • non chiudere il tuo PRA prima di un periodo minimo di 5 anni, né effettuare prelievi durante questo periodo
  • non superare il deposito di € 132.000 sul tuo PRA.

Anche in questo caso esiste un ma: non tutti gli asset finanziari possono essere inseriti nel PRA. Possono farvi parte, infatti, escluysivamente i titoli appartenenti a società che hanno la loro residenza fiscale sul territorio della Comunità Europea.

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Tassazione sulle assicurazioni vita

Dopo il PRA, passiamo ora al caso dell’assicurazione sulla vita e della sua tassazione.

In effetti, l’importo delle tasse che pagherai sulle tue plusvalenze con questo tipo di contratto dipenderà in gran parte dalla durata per la quale manterrai la polizza.

In generale, se l’assicurazione viene riscattata per morte del contraente, non è soggetta ad alcuna imposta sul reddito.

Se invece la polizza viene liquidata per scadenza, ma quando l’assicurato è ancora vivo, allora si applica una tassa del 12,5%.

I proventi di una polizza vita non sono pignorabili né sequestrabili e non vengono assoggettati alla tassa di successione.

Prodotti di investimento e risparmio

Per i prodotti di investimento e risparmio, la questione si complica e bisogna bisogna fare una premessa fondamentale: per capire l’ammontare delle tasse, innanzitutto bisogna sottrarre il totale dei premi versati dal capitale maturato.

La cifra determinata da questa differenza è la plusvalenza.

Su questa plusvalenza, la compagnia assicurativa applica un’imposta sostitutiva del 26% al momento della richiesta di riscatto, che si tratti di una liquidazione sia parziale sia totale.

Anche questa regola ha delle eccezioni. La percenuale dell’aliquota, infatti, può variare in base a due criteri:

  • la natura del sottostante finanziario
  • il periodo del contratto.

Il calcolo viene effettuato il 31 dicembre di ogni anno, secondo lo schema riportato qui sotto:

Trading e Tasse: La Guida Definitiva per gli Investitori Italiani (5)

Quindi:

  • fino a fine 2011 l’aliquota fiscale ammonta al 12,5%, a prescindere dal sottostante al quale la polizza è collegata
  • dal 2012 a giugno 2014, la tassazione varia in base al sottostante e l’aliquota ammonta al 12,5% (titoli di Stato e affini) o al 20% (azioni, derivati, obbligazioni e corporate)
  • da luglio 2014 in poi, la tassazione varia a seconda della natura del sottostante finanziario e può essere applicata nella misura del 12,5% (solo su titoli di Stato e affini) o del 26% (azioni, derivati, obbligazioni e corporate).

Quando si paga l’imposta di bollo

Su alcuni contratti, oltre all’aliquota descritta sopra, si applica anche un’imposta di bollo. Sono interessati da questa sovratassa le polizze:

  • di capitalizzazione
  • Index Linked
  • Unit Linked.

L’imposta di bollo è pari a:

  • 0,10% (2012) su minimo 34,20 euro e massimo di 1.200 euro
  • 0,15% (2013) su minimo di 34,20 euro e massimo 4.500 euro
  • 0,20% (dal 2014) su massimo 14.000 euro.

Tasse e trading di criptovalute: 6 Paesi esenti

In Italia le plusvalenze relative al trading di criptovalute sono tassate al 26% su un importo minimo di 2.000 euro. Il nostro Paese è quinto, tra i 27 che fanno parte della Comunità europea. Le tasse italiane, insomma, sono tra le più care del vecchio continente.

La tabella qui sotto illustra la classifica generale:

Trading e Tasse: La Guida Definitiva per gli Investitori Italiani (6)

Sei paesi europei, dunque, non tassano le plusvalenze in criptovalute: Malta, Cipro, Grecia, Slovenia, Estonia e Germania.

Le altre nazioni hanno regimi fiscali che possono variare da una tassazione nulla a un’aliquota più elevata (dal 5% al ​​50%) a seconda di una serie di criteri, come:

  • ammontare dei guadagni
  • profilo degli investitori
  • etc…

In Belgio, ad esempio, una plusvalenza derivante dalla vendita o dall’acquisto di criptovalute sarà tassata al 33% per le persone fisiche, mentre le aliquote possono arrivare anche fino al 50% per un professionista, a seconda dei guadagni realizzati.

In Francia non è prevista la tassazione sui redditi inferiori a 305 euro, ma oltre tale importo è soggetta (salvo scelta della scala progressiva dell’imposta sui redditi) alla flat tax unica (PFU) del 30%, ovvero 12,8% di imposta e 17,2% di contributi previdenziali. Questo principio si applica anche alle minusvalenze: se un trader ha perso soldi vendendo criptovalute, dovrà comunque dichiararlo.

Ma quali sono i Paesi europei più cari in assoluto? Al primo posto c’è la Danimarca (le aliquote possono variare dal 37% al 52,06%), seguono la Svezia (30%) e il Portogallo (28%), che hanno recentemente imposto il regime fiscale solo gli investitori che possiedono criptovalute da meno di un anno.

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Tasse e trading: come funzionano gli ETF

La tassazione degli ETF dipende principalmente dalla loro composizione.

Il trading di ETF è tassato sulla base del dettami della legge n. 600/2014. Prima di addentrarsi nei dettagli, bisogna puntualizzare un aspetto: gli ETF producono un doppio guadagno. Oltre alle rendite costituite dai dividendi va conteggiato anche il capital gain derivante dalle operazioni di trading.

Gli ETF possono essere principalmente di due tipologie.

ETF armonizzati

Rispondono a direttive comunitarie e vengono scambiati su mercati regolamentati in Europa. La tassazione è del:

  • 12,5% sia sui capital gain sia su rendimenti da capitale per gli ETF appartenenti a Paesi che fanno parte della white list
  • 26% su tutti gli altri.

A seconda della composizione degli ETF, può essere applicata una doppia tassazione. In tal caso, bisognerà scorporare i proventi delle diverse classi di titoli e conteggiarne le tasse separatamente.

ETF non armonizzati

Non rispondono a direttive europee e vengono scambiati su mercati extra-europei.

L’imposta sostitutiva del 26% su questo tipo di ETF non è applicabile. I proventi sono, invece, tassati secondo scaglioni definiti dall’IRPEF, come segue:

  • 23%: fino a 15.000 euro
  • 25%: da 15 mila euo e un centesimo a 28.000 euro
  • 35%: 28.001-50.000 euro
  • 43%: oltre 50.000 euro.

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Tasse e trading: Futures e CFD

In linea di principio, l’aliquota per la tassazione degli strumenti derivati segue le regole del sottostante finanziario al quale si riferiscono. Vale, quindi, la distinzione tra persone fisiche, trader professionisti in possesso di partita IVA e società di capitali.

Una precisazione meritano, invece, i CFD.

Si tratta di prodotti altamente rischiosi, a causa dell’effetto leva, che può moltiplicare molto rapidamente i guadagni, ma anche le perdite.

Dal punto di vista fiscale, però, i CFD sono altamente vantaggiosi perché sono tassati con un’aliquota pari allo 0,5%.

Saperli maneggiare è, tuttavia essenziale.

Per imparare a farlo o perfezionare la tua tecnica, segui il master per diventare trader professionista offerto da Metaskill.com.

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Tasse e trading: opzioni e cover warrant

Hai imparato a fare trading su opzioni e cover warrant? Sappi, allora, che i guadagni accumulati con contratti call e put rientrano, per opzioni e cover warrant nelle plusvalenze determinate dalla formula:

valore di vendita – prezzo di acquisto

Nel caso delle opzioni:

prezzo di vendita – prezzo di acquisto del sottostante.

Facciamo un esempio: hai guadagnato 10 euro con un’opzione call su 2.000 azioni. Lo strike price era di 20 euro ma alla scadenza il valore delle azioni è 22 euro. La plusvalenza viene calcolata come segue

10 x 2.000 = 20.000 euro

20×2.000 (vendita sottostante) – 22×2.000 (acquisto) = 4.000

La plusvalenza è di 4.000 euro.

Gli strumenti derivati sono tassati dalla cosiddetta Tobin Tax, fino a un massimo di 200 euro, a seconda del valore del contratto.

Trading e tasse: alcuni consigli

Se hai intenzione di iniziare un’attività di trading o investire in borsa con qualsiasi mezzo, devi ovviamente tenere conto della tassazione prima di scegliere con quale strumento effettuerai questi investimenti.

Una volta effettuata questa scelta, considera di calcolare i tuoi guadagni effettivi su un anno, tenendo conto del costo di questa tassa.

Ad esempio, se ritieni che troppe plusvalenze ti spingerebbero in una fascia fiscale più alta, potrebbe essere una buona idea tagliare i tuoi guadagni prima di raggiungere quel limite per risparmiare sulle tasse.

Infine, se la tua attività di trading sta crescendo in modo significativo, non esitare a ricorrere ai servizi di un professionista che saprà indicarti come ottimizzare i tuoi profitti, usufruendo di una tassazione più vantaggiosa e come dichiarare i tuoi redditi da trading.

Trading e tasse: come compilare la dichiarazione dei redditi

A monte della compilazione, bisogna fare una distinzione. I redditi del trading possono essere dichiarati facendo riferimento a due regimi fiscali.

Regime fiscale dichiarativo

Il trader calcola e compila da solo la dichiarazione del redditi utilizzando il modello unico Persone fisiche e inserendo gli importi relativi alle plusvalenza nella riga 41 della sezione RT (Redditi diversi) e i quadri RM, RW e DI.

Prima di cominciare, è necessario scaricare il report delle proprie attività di trading, accedendo al proprio conto presso il broker utilizzato per le transazioni.

Preferibilmente, questo rapporto andrà scaricato in formato .csv, in modo da agevolare l’utilizzo di fogli di calcolo e velocizzare i conteggi. In alternativa, si potrà ottenere il documento in formato .pdf.

Una volta determinati gli importi, si potrà accedere al proprio cassetto fiscale, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, utilizzando la SPID o la CIE (carta di identità elettronica). Il modello, dopo l’opportuna compilazione potrà, quindi, essere inviato telematicamente al Fisco.

Regime fiscale amministrato

La dichiarazione dei redditi viene effettuata da un professionista incaricato dal cliente che applica un’imposta sostitutiva.

Anche in questo caso, naturalmente, la sezione da compilare è il quadro RT della Dichiarazione dei redditi, ovvero la riga 41. L’imposta sostitutiva si applica a:

  • plusvalenze derivanti da cessione di quote
  • plusvalenze derivanti da vendita di titoli
  • plusvalenze provenienti dalla cessione di valute.

Sono esclusi gli strumenti finanziari rappresentativi di merci.

Trading e Tasse: La Guida Definitiva per gli Investitori Italiani (2024)
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Name: Merrill Bechtelar CPA

Birthday: 1996-05-19

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Job: Legacy Representative

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Introduction: My name is Merrill Bechtelar CPA, I am a clean, agreeable, glorious, magnificent, witty, enchanting, comfortable person who loves writing and wants to share my knowledge and understanding with you.